di Manolo Benvenuti, Claudio Ballestracci e Giulio Accettulli
musiche originali del maestro Marco Mantovani
L’opera
L’acqua è di tutti è un’installazione artistica interattiva che fonde insieme arti plastiche, musica e filosofia del riutilizzo.
Sostenuta da Ambiente Festival e dal Comune di Rimini in partnership con il Comune di Périgueux, ha partecipato al 1° Festival Art & Eau della cittadina aquitana (24-26 giugno 2011) come unica opera realizzata da artisti stranieri in residenza. Con L’acqua è di tutti gli autori hanno inteso affrontare il tema dell’acqua come bene sociale e relazionale, sintetizzandone gli aspetti etici ed estetici in una forma energicamente simbolica.
La copertura dell’opera è composta da 3.000 bottiglie di plastica di recupero. Ha l’aspetto di una gigantesca Bottiglia abbandonata come un rifiuto e, per effetto del suo particolare design, leggermente interrata. Le sue dimensioni permettono a un buon numero di fruitori di entrarvi simultaneamente e sostarvi per il tempo che desiderano. Questa imponente struttura funge da involucro a quattro manufatti artistici, in tutto simili a fontane, che invitano i fruitori ad avvicinarsi all’acqua e svelare la loro segreta funzione.
Essi, infatti, sono vere e proprie Fontane sonore, e la Bottiglia il loro auditorium: quando si avvicina la mano agli erogatori, le Fontane sospendono il flusso d’acqua e suonano la linea melodica di uno strumento ad arco. Con un solo, semplicissimo gesto si ferma simbolicamente lo spreco e si esegue della sognante musica originale. Se le Fontane sono azionate due o tre alla volta nello stesso intervallo di tempo, si fanno suonare altrettanti strumenti in perfetta armonia, e pertanto si esegue in tempo reale una musica polifonica. La composizione, scritta appositamente per l’installazione, sgorga in tutta la sua completezza solo quando tutte e quattro le Fontane sono attive, ed è come se evocasse, dall’acqua, un quartetto d’archi.
È possibile innescare una serie innumerevole di combinazioni armoniche, di “ingressi” e di “uscite” a tempo; accostamenti imprevedibili di suonatori del risparmio idrico; situazioni piacevoli, idilliache, avvincenti, spassose. Ogni volta che l’opera è stata esposta, gli utenti – adulti e bambini, addetti ai lavori artistici e semplici passanti – hanno risposto mettendosi in gioco senza soggezioni, conquistati dall’idea originale e dal suo funzionamento.
Il progetto
La residenza a Périgueux è stata la prima occasione all’estero in cui gli autori hanno potuto intrecciare le loro personali competenze e poetiche nel progettare un’opera che non fosse solo un manufatto destinato a una contemplazione distratta, ma un emblema dell’impegno per l’ambiente. Nelle varie fasi che hanno portato L’acqua è di tutti dalla progettazione alla mostra, si è cercato di coinvolgere il numero più ampio possibile di individui, gruppi formali e informali, affinché cittadinanza e pubblico si sentissero parte essenziale di un progetto più grande.
Per dare corpo all’opera sono stati scelti la forma e i colori della bottiglia in quanto elementare oggetto domestico che rimanda all’istante, senza mediazioni intellettualistiche, all’acqua come elemento indispensabile alla vita, ma anche al suo consumo e alle inevitabili implicazioni economiche e ambientali che esso comporta: sfruttamento industriale di un bene comune, cattivo utilizzo e sprechi, smaltimento della plastica, inquinamento, deturpazione paesaggistica.
Certo l’aspetto esteriore dell’opera è particolarmente significativo, ma il progetto mira soprattutto a sensibilizzare i fruitori alla valorizzazione dell’elemento acqua e, grazie alla poetica e piacevole soluzione interattiva, ambisce a renderli maggiormente consapevoli della necessità di preservare le risorse idriche, adottare stili di vita eco-responsabili, recuperare il senso di appartenenza ad un unico “Tutto” biologico. L’idea delle Fontane sonore intende risvegliare in loro la cognizione dell’indispensabilità ma anche della bellezza dell’acqua, della gioia che essa comunica; risvegliare perfino il senso di comunanza che l’acqua suggerisce.
Per questo motivo si è scelto un titolo così immediato e perfino didascalico. L’acqua è di tutti è essenzialmente un’opera per il risveglio civico. Dal 2011 ad oggi è stata esposta, con grande riscontro di pubblico, al festival Fontaines en Scène di Noisy-le-Grand (FR), al festival Jardin de Spectacle nei giardini del Museo Archeologico di Saint-Germain-en-Laye (FR), alle Fêtes di Ginevra (CH) e in molti eventi italiani, tra cui #Futura, in Piazza Maggiore a Bologna, a cura del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
L’acqua è di tutti, etica e poesia
Presto Empedocle potrebbe diventare il patrono degli ecologisti. Il parallelo è sorprendente: proprio quegli aspetti della natura che oggi gli ecologisti si trovano a dover difendere, egli li aveva già identificati, all’inizio della filosofia occidentale, come gli elementi fondamentali del mondo. Per lui il cosmo è costituito da acqua, terra, aria e fuoco, e sono questi quattro elementi che in ultima istanza uniscono la grandiosa ed intricata molteplicità dei fenomeni naturali. Non sta forse succedendo oggi che, proprio quando i quattro elementi vengono continuamente esposti al pericolo di avvelenamento, ci accorgiamo di sbattere il naso contro questa antica verità? Soltanto sotto la minaccia dell’autodistruzione scopriamo di nuovo i quattro elementi come fonti di vita, fatto che Empedocle aveva già enunciato senza l’aiuto di questa lezione. Wolfgang Sachs, Premessa a Ivan Illich, H2O e le acque dell’oblio, Macro Edizioni, Umbertide (PG) 1988
Presto Empedocle potrebbe diventare il patrono degli ecologisti. Il parallelo è sorprendente: proprio quegli aspetti della natura che oggi gli ecologisti si trovano a dover difendere, egli li aveva già identificati, all’inizio della filosofia occidentale, come gli elementi fondamentali del mondo. Per lui il cosmo è costituito da acqua, terra, aria e fuoco, e sono questi quattro elementi che in ultima istanza uniscono la grandiosa ed intricata molteplicità dei fenomeni naturali. Non sta forse succedendo oggi che, proprio quando i quattro elementi vengono continuamente esposti al pericolo di avvelenamento, ci accorgiamo di sbattere il naso contro questa antica verità? Soltanto sotto la minaccia dell’autodistruzione scopriamo di nuovo i quattro elementi come fonti di vita, fatto che Empedocle aveva già enunciato senza l’aiuto di questa lezione. Wolfgang Sachs, Premessa a Ivan Illich, H2O e le acque dell’oblio, Macro Edizioni, Umbertide (PG) 1988
Una bottiglia affiora dal terreno per metà, beccheggia, fluttua, riaffiora portando con sé un messaggio. La linea di galleggiamento orizzontale all’asse è leggermente obliqua; la bottiglia sembra volersi inabissare nuovamente, sembra voler naufragare nonostante la novella apparizione. È il destino dei messaggi nelle bottiglie: sono gettati in mare nella speranza che qualcuno li raccolga, non sempre arrivano a destinazione, a volte si inabissano oppure giacciono trascurati per anni, decenni. Eppure, il messaggio in bottiglia è quasi sempre urgente, icona di un SOS, di una richiesta d’aiuto, dove il mezzo adottato porta con sé un’evidente anomalia, una contraddizione che sembra fare il verso alle reti virtuali o alla comunicazione globale.
L’eco e la proliferazione di messaggi, se pure per nobili cause, nascondono spesso in sé un’insidia, quella di passare inosservati nello smisurato, uniforme rotocalco mediatico.
L’immagine dello scarto, del residuo, è evidente: una bottiglia di plastica abbandonata come se ne vedono tante, ma questa è leggermente fuori scala, sproporzionata come il messaggio al suo interno, fuori misura come il tema che vorrebbe affrontare, un problema grande quanto l’oceano che la contiene. Queste prime osservazioni sembrano indicare la strada del gigantismo, dell’ipertrofia scultoria per mettersi in mostra, per farsi notare. Ma l’iter creativo sceglie altri percorsi.
Il tema da affrontare nel costruire un’opera dedicata è palese: l’acqua e, forse, gli effetti alchemici di un fluido tanto prezioso favoriscono un travaso di saperi che può confondere riguardo all’origine dell’idea.
Qualche nozione sulla genesi si desume, allora, dall’incontro fra gli autori: un architetto atipico, che ha sostituito l’astuccio delle matite con la borsa degli attrezzi e nutre una sincera avversione per lo spreco, il cemento e i piani edilizi; un autore di racconti notturni e organizzatore di sotterranei eventi musicali; un musicista sognatore ma con i piedi a dimora in un vaso di terra romagnola e silicio; uno scultore operaio trovarobe perdutamente incline alla sperimentazione.
L’inchiostro che occorre a disegnare il progetto è ottenuto dall’incontro fra caratteri così diversi, ma accomunati dal profondo piacere per l’officina, per la sperimentazione sul campo lasciando al tavolo dell’ufficio la parte più «razionale», quella destinata ai testi, ai concetti, e mirando invece a infondere il canovaccio poetico nel lavoro attraverso le dita.
La bottiglia di plastica è il simbolo scelto per l’opera, in quanto oggetto domestico elementare che rimanda subito, senza mediazioni, all’acqua quale elemento indispensabile alla vita, ma anche al suo consumo e alle inevitabili implicazioni economiche e ambientali che esso comporta: sfruttamento industriale di un bene comune, cattivo utilizzo e sprechi, smaltimento della plastica, inquinamento, deturpazione del paesaggio. «Sto parlando» scrive Illich, «del torpore che avvolge gli individui allorché smarriscono il senso necessario per immaginare la sostanza dell’acqua, non le sue forme esterne, ma la sostanza profonda dell’acqua.»
Un principe tedesco, in epoca barocca, si fece costruire nella città di Kassel un castello circondato da giardini inglesi in cui le acque si esprimono in tutti i modi di cui sono capaci. In quei giardini l’acqua non solo è presente all’occhio e al tatto, ma parla e canta in diciassette registri diversi. Le acque del sogno mormorano, calano, si gonfiano, ruggiscono, gocciolano, rimbalzano, scorrono e giocano. Possono lavare o trascinare via, possono cadere dall’alto o sgorgare dal profondo della terra, possono inumidire o bagnare… Ivan Illich, Nello specchio del passato, tr. it. Boroli, Milano 2005
Un principe tedesco, in epoca barocca, si fece costruire nella città di Kassel un castello circondato da giardini inglesi in cui le acque si esprimono in tutti i modi di cui sono capaci. In quei giardini l’acqua non solo è presente all’occhio e al tatto, ma parla e canta in diciassette registri diversi. Le acque del sogno mormorano, calano, si gonfiano, ruggiscono, gocciolano, rimbalzano, scorrono e giocano. Possono lavare o trascinare via, possono cadere dall’alto o sgorgare dal profondo della terra, possono inumidire o bagnare… Ivan Illich, Nello specchio del passato, tr. it. Boroli, Milano 2005
Le misure fuori misura sono coerenti con la funzione di un auditorium grande abbastanza da accogliere il pubblico; golfo mistico per quattro fontane azionate da quello stesso pubblico che, qui, diventa virtuoso e musicista per caso.
Le fontane emettono il loro zampillo senza sosta, scrosciando dentro vasche circolari a rimarcare lo spreco dell’acqua: fermata solamente dal gesto di sbarrarne il flusso con la mano mentre, al suo posto, sgorga il suono. Così, ogni fontana si rivela essere uno strumento ad arco – primo e secondo violino, violoncello e viola – che esegue una partitura cangiante, ora vigorosa, ora imprevedibilmente vivace, ora quieta e trasognata. E il visitatore si dispone a scoprire le qualità del proprio strumento, a cercare l’armonia con gli altri, a personalizzare l’esecuzione d’insieme. Le musiche delle fontane, appositamente concepite da Marco Mantovani, si prestano a un’infinità di combinazioni sonore, e il quartetto d’archi che ne risulta non è mai identico a se stesso. In altre parole, la partitura è completa solo se il pubblico è in armonia. E l’acqua è salva.
Un diverso, altrettanto importante grado di interazione è avvenuto in fase di ne, quando gli autori, ospiti in residenza nella cittadina di Périgueux, hanno lavorato insieme con scolaresche, associazioni e volontari per la raccolta e la lavorazione di circa 3000 bottiglie in Pet di recupero, necessarie per il rivestimento della grande bottiglia. In questa fase sono stati condotti numerosi laboratori, coinvolgendo la cittadinanza in un vasto progetto di sensibilizzazione, insieme civile ed ecologica: diventare consapevoli dei costi ambientali indotti dalle nostre abitudini, ridurre la produzione di rifiuti, farsi responsabili nel differenziarli e creativi nel riuso di alcuni materiali di scarto.
In quei giorni, l’annuncio di un referendum che chiedeva ai cittadini un parere sulla privatizzazione dell’acqua pubblica, in Italia, ci ha spinto a dare piena voce al nostro pensiero modificando in corso d’opera il nome dell’installazione: le circostanze hanno preso il sopravvento e, nella bottiglia, abbiamo voluto introdurre un messaggio spogliato di metafore, diretto e perfino didascalico.
L’acqua è di tutti è diventata, così, essenzialmente un’opera per sollecitare il risveglio civile: restituire all’acqua la dignità di bene comune nella relazione, traducendola in una poesia dei sensi che riesce a comunicare senza passare attraverso i filtri della ragione.
Un’immensa bottiglia fluttua ora sul filo del terreno, a pelo d’asfalto, tracciando traiettorie sullo stradario anziché su carte nautiche.
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